Pier Giacomo, mio padre
Pier Giacomo, my father
Ricordo di Giorgina Castiglioni
Il disegno è sempre stato uno dei mezzi di comunicazione tra i più utilizzati da Pier Giacomo Castiglioni.
Mio padre era solito adoperare con frequenza il mezzo grafico mentre esprimeva un pensiero per trasmettere concetti in modo più chiaro e immediato. Non era un dono della natura, ma piuttosto una qualità da lui acquisita nel tempo, attraverso il continuo esercizio che l’aveva portato ad esprimere qualsiasi idea in modo simultaneo allo scorrere della matita.
Ricordo i suoi particolari insegnamenti grafici sul modo di parcheggiare l’automobile, raffigurava sul foglio gli spostamenti delle ruote anteriori e posteriori per fare manovre perfette: lezioni di guida al tavolo da disegno!
M’insegnava le caratteristiche della materia attraverso giochi, con piccoli pezzi di legno che piegava ed accostava sino a formare una stella; versando una goccia d’acqua al centro il legno si dilatava in modo sorprendente sino ad assumere forme interessanti.
Usava la carta per eliocopie esponendola al sole dopo avervi sovrapposto oggetti di vario tipo: poco dopo toglieva gli oggetti e sulla carta sbiadita ne rimanevano impresse le sagome.
Da piccola mi faceva scoprire i mezzi di espessione come acquarelli, tempere, plastilina, china ma lasciava sempre a me l’iniziativa di utilizzare e sperimentare. Raramente interveniva per suggerirmi qualche trucco del mestiere.
Pier Giacomo era appassionato di giochi di abilità manuale. Sul tavolo da disegno, per esempio, componeva spesso forme in equilibrio usando matite, gessetti e plastilina. Negli anni 50 quando era in auge l’attrezzo di giocoleria chiamato Diabolo, ne acquistò uno in Francia. L’abilità consisteva nel tenere in equilibrio una particolare clessidra di legno su una cordicella tesa tra due bastoncini attraverso un movimento rotatorio impresso all’oggetto.
Mio padre riusciva a dar vita a vere e proprie acrobazie facendo saltar in aria il pezzo di legno col semplice gesto di allargare e chiudere le braccia. Erano legati al rapporto del corpo con lo spazio e con il tempo anche i molti sport in cui eccelleva, come per esempio lo sci e soprattutto il pattinaggio su ghiaccio: si destreggiava abilmente sulle lame in compagnia di mia madre esibendosi talvolta in esercizi di sicurezza e velocità paragonabili, in qualche modo, a quelli manuali. Erano in gioco la percezione dello spazio reale e la forma della velocità.
Tutta la famiglia Castiglioni lavorava in un vecchio edificio situato vicino all’ospedale Fatebenefratelli: Corso di Porta nuova numero cinquantadue. Sulla sinistra c’era lo studio dove il nonno realizzava medaglie e sculture di medie dimensioni. Di fronte al portone dello scultore si poteva accedere allo studio degli architetti: Pier Giacomo e Achille; sul retro c’era lo spazio di Livio e quindi un altro studio, quello dello zio Tullio Emanueli, ingegnere con la passione dell’aeronautica.
Un largo viale portava all’altro laboratorio del nonno, contiguo alla scuola Svizzera, tuttora situata in via Appiani, 21 – Milano.
Al primo piano la nonna sbrigava le faccende domestiche aiutata dalla fidata Rachele. La nonna era la figura di riferimento dell’intera famiglia; era attenta agli spostamenti dei figli e la sera li aspettava col nonno per un incontro in cui tutti si scambiavano i resoconti di quanto avvenuto durante la giornata, di fronte ad un Fernet o a una China Martini.
Nello studio degli Architetti Castiglioni si verificavano annualmente le anteprime dei loro favolosi allestimenti per RAI, ENI, AGIP, MONTECATINI e molti altri: nel mese di aprile alla Fiera di Milano, si sarebbero rivelati i protagonisti assoluti dell’evoluzione delle aziende Italiane più rappresentative.
Ricordo, sia per la spettacolarità dei progetti, sia per l’originalità delle presentazioni a cui assistevo nello studio, gli sbalorditivi allestimenti che venivano realizzati da Pier Giacomo e da suo fratello. Mio papà scomponeva una misteriosa scatola di legno e con sorpresa si scorgeva il risultato di un lungo lavoro, dapprima solo alcuni dettagli, poi, dischiusa la scatola, ci veniva mostrato il contenuto miniaturizzato dell’allestimento. Di lì seguivano le spiegazioni: tutto microscopico sino al momento in cui, a distanza di qualche tempo, venivano catapultati nel vero allestimento, finalmente preso in scala reale.
L’apertura di questi contenitori era sempre un momento di sorpresa che mi coinvolgeva emotivamente. Singolare era la mia sensazione nello scorrere in piccolo il progetto e poi entrare davvero in quello stesso spazio reso a dimensione umana. Indescrivibile resta, invece, l’idea che mi faceva sentire “miniaturizzata” con questa duplice sensibilità dello spazio, prima piccola poi grande che mi coglieva nel passare dal modellino all’allestimento vero e proprio.
Uno dei mezzi che i Castiglioni prediligevano per interpretare lo spazio dell’uomo, a mio parere, era lo specchio.
Vorrei ricordare soprattutto lo specchio per riaccendere la fiamma di Pier Giacomo in modo che si riunisca a quello del fratello Achille facendo rivivere anche il suo nome nello studio (ora Fondazione Museo Achille Castiglioni) che i fratelli avevano creato insieme in Piazza Castello, 27 dopo il trasferimento da Corso di Porta nuova, 52, luogo storico dell’inizio della loro attività. A questo proposito vorrei ricordare l’uso supremo dello specchio nel loro sensazionale allestimento del 1967 alla XLV Fiera di Milano per la mostra: Chimica = un domani più sicuro: in attesa del 2000.
L’ultimo spazio narrativo non è infatti un cannocchiale, come i precedenti disseminati nello spazio aperto del padiglione Montecatini, bensì un pozzo dal fondo a specchio che riflette un soffitto ribassato anch’esso di specchio, rimandando i visitatori ad un mondo straniante che sembra ricomporre le immagini della folla in più dimensioni. Questi rimandi evocativi derivano anche dalla curiosità che Pier Giacomo ha sempre avuto per le missioni spaziali della NASA. Inizialmente si trattava di qualche lettura specialistica, ma negli anni 60 fu contattato dal regista Renato Castellani, suo compagno di studi al Politecnico di Milano, per lavorare ad un film intitolato: L’isola del tesoro che lo avvicinava all’argomento della scoperta dello spazio, ma che purtroppo non venne prodotto.
Infine ecco: il mitico Allunaggio prototipato nel ’65 e prodotto anni dopo da Zanotta. La seduta a tre gambe celebrava il primo atterraggio morbido sulla Luna. Qualche anno prima Pier Giacomo aveva preso una pallina da Ping Pong, vi aveva disegnato i crateri per trasformarla in una piccola Luna e, avvicinandola ad un mio mappamondo scolatisco si era divertito a trovare la distanza Terra-Luna improvvisandomi un modellino proporzionato del nostro pianeta e del suo satellite. Spesso si chiedeva se avrebbe potuto vedere l’anno 2000, che allora appariva così lontano, e se sarebbe arrivato a mettere piede sulla Luna in futuro. Di lì a pochi mesi si apprestavano ad allunare gli astronauti, ma non poté mai vedere né Neil Armstrong e Buzz Aldrin in quel luglio del 1969 mentre passeggiavano sulla Luna.
Giorgina Castiglioni
Catalogo: 1913/2013 Pier Giacomo 100 Volte Castiglioni
ISBN: 978-88-97221-17-3
Drawing was always one of Pier Giacomo Castiglioni’s most frequently used means of communication.
When communicating a thought, my father often used the graphic medium to convey concepts in a clearer and more immediate way. Rather than a natural gift, it was a skill which he developed over time through continuous practice and which enabled him to express any idea at the same time as his pencil moved across the paper.
I remember his unique graphic illustrations of how to park a car, he would draw on a sheet of paper the movements of the front and rear wheels required for executing a perfect manoeuvre: driving lessons at the drawing table!
He taught me about the properties of materials through games, using small sticks of wood, such as matches or toothpicks, that he bent and joined to form a star; by pouring a drop of water in the centre, the wood sticks would surprisingly expand and spread out, making interesting shapes.
He would take heliographic paper, place various objects on it and expose it to the sun: when he removed the objects shortly after, their outlines were imprinted on the faded paper.
When I was little, he introduced me to various means of artistic expression, such as watercolours, tempera, clay and ink, but he always encouraged me to take the initiative in using them and experimenting. He rarely intruded to suggest tricks of the trade.
Pier Giacomo had a passion for manual dexterity games. For example, he would often create balancing shapes on his drawing table using pencils, chalk and clay. He bought a Diabolo juggling prop in France, when it became popular in the 1950s. The skill involved using a rotational motion to keep a special wooden hourglass balanced on a string connected to two sticks.
My father could perform a real feat of agility, making the wooden piece jump into the air by simply spreading and closing his arms. The connection of body with space and time was also key to many sports in which he excelled, such as skiing and, above all, ice skating: an expert and confident skater, he used to go gliding on the ice with my mother and sometimes do speed skating exercises that were somehow comparable to his manual ones. Perception of real space and the shape of speed were at play.
The entire Castiglioni family worked in an old building located near the Fatebenefratelli Hospital: Corso di Porta Nuova, number fifty-two. On the left, there was the studio where my grandfather made medals and medium-sized sculptures and across from the sculptor’s door was the entrance to the Pier Giacomo and Achille’s architect studio. At the back, there was Livio’s space and then another studio belonging to my uncle Tullio Emanueli, an engineer with a passion for aeronautics.
A wide avenue led to my grandfather’s other workshop, adjacent to the Swiss school, still located at Via Appiani, 21 – Milan.
On the first floor, my grandmother took care of household chores, assisted by the trusted Rachele. My grandmother was the reference point for the entire family; she monitored her children’s movements and in the evening they all got together at my grandparents’ home to talk about their day over a Fernet or a China Martini.
The annual previews of the fabulous installations by Architetti Castiglioni for RAI, ENI, AGIP, MONTECATINI and many others took place in their studio: in April of every year, at Fiera Milano, they would stand out as key players in the evolution of the most significant Italian companies.
I remember the stunning exhibits created by Pier Giacomo and his brother, both for the spectacular nature of the projects and for the originality of the presentations that I witnessed in the studio. My dad would take apart a mysterious wooden box where, to our amazement, we would see the result of a great deal of work, at first glimpsing only a few details and then, as the box opened completely, the miniature version of the installation. This was followed by explanations: everything microscopic until, after some time, the contents would be transformed into the real, full-scale installation.
The opening of these containers was always a surprise that stirred my emotions. Running my eyes through the small-scale project and later actually entering the same space translated into human dimensions was a unique feeling. The sensation of being “miniaturized’ by this dual sense of space, starting small with the model and then expanding as I moved to the actual installation, remains indescribable.
In my opinion, the mirror was one of the Castiglioni brothers’ favourite means for interpreting living space.
I particularly wish to remember the mirror in order to rekindle Pier Giacomo’s flame, so that it may be reunited with his brother Achille’s and bring his name back to the studio (now the Achille Castiglioni Foundation) that the brothers created together at Piazza Castello, 27, after moving from Corso di Porta Nuova, 52, the historic location of the beginning of their work as architects. In this regard, I would like to recall the masterful use of mirrors in their sensational installation for the exhibition Chemistry = a safer tomorrow: awaiting 2000 at the 45th edition of Fiera Milano in 1967.
The last narrative space was not a telescope, like those distributed in the open space of the Montecatini pavilion, but a well with a mirrored bottom reflecting a lowered ceiling, also mirrored, launching visitors into an unfamiliar world that seemed to recompose the images of the crowd in multiple dimensions. These evocative references also stem from Pier Giacomo’s great interest in the NASA space missions. Initially this just involved specialized reading about the topic, but in the 1960s he was contacted by the director Renato Castellani, a former fellow student at the Milan Polytechnic, who asked him to work on a film titled Treasure Island. Although, unfortunately, the film was never produced, this experience brought him closer to the subject of space exploration.
And finally: the legendary Moon Landing prototype of 1965, produced years later by Zanotta. The three-legged stool celebrated the first soft landing on the Moon. A few years earlier, Pier Giacomo had taken a ping pong ball, had drawn craters on it to transform it into a small moon and, holding it close to my school globe, had had fun working out the distance between the Earth and the Moon through this improvised, proportional model of our planet and its satellite. He often wondered if he would live to see the year 2000, which then seemed so far away, and if he would ever set foot on the Moon in the future.
My father passed away on November 27, 1968. Just a few months later the astronauts were preparing to make their moon landing, but he would never see Neil Armstrong and Buzz Aldrin walking on the Moon.
Giorgina Castiglioni
Catalogue: 1913/2013
Pier Giacomo 100 Times Castiglioni
ISBN: 978-88-97221-17-3