Architetto Ferruccio Favaron
Architect Ferruccio Favaron

Ricordo su Pier Giacomo Castiglioni
Nell’autunno del 1966, ero una giovane matricola di architettura che frequentava la facoltà per la mia prima lezione di disegno dal vero. Dentro una grande aula, trovai oggetti di varie forme e dimensioni disposti sui tavoli da disegno: una barca a vela, una bicicletta, alcune lampade, un giradischi e molti altri, tutti con forme molto semplici ma attraenti.
Lo scopo di quel primo esercizio, che durò un giorno e mezzo, era di osservare davvero quegli oggetti, così diversi tra loro, cogliendo e mettendo in evidenza le caratteristiche che avevano in comune. Persino individuando elementi nascosti fatti di materiali innovativi. Perché proprio quelle forme? Cosa le rende, e non altre, così essenziali? Perché quelle soluzioni, strettamente legate a funzioni specifiche?
Al liceo, ero abituato a copiare alcuni dettagli di una facciata di chiesa da un’illustrazione, cercando al massimo di identificare, attraverso i suoi elementi costitutivi, il periodo in cui era stata costruita. Passare da una fotografia a tutti quegli oggetti, così reali, funzionali e quotidiani, toccarli, analizzarli, cercare di far emergere il loro ‘spirito’ e la ‘qualità’ comune che condividevano, fu un’esperienza che mi accompagnò per tutta la mia vita da studente e che rimane vivida ancora oggi, dopo tanti anni di lavoro nel settore. In effetti, ho potuto riconoscere che tutti gli oggetti che usiamo nella nostra vita quotidiana derivano da processi di progettazione e produzione che ne permettono la riproduzione, rendendoli così disponibili a tutti. Non si trattava di una semplice introduzione alle tecniche di disegno o alle regole della geometria descrittiva. Piuttosto, fu il mio primo passo in un viaggio di esplorazione attraverso il meraviglioso universo del ‘design’, come era conosciuto allora in Italia, in cui la stella del genio italiano stava emergendo. E il docente? Nientemeno che Pier Giacomo Castiglioni in persona, uno dei più apprezzati interpreti di questa disciplina, che stava varcando i confini nazionali e iniziava a ottenere il meritato riconoscimento anche a livello internazionale.
Dopo quella prima esperienza, non persi mai un’occasione per incontrarlo e arrivai a conoscerlo: molto timido ma, allo stesso tempo, dotato di grande umanità. Sebbene non ricordi una sua lezione in particolare—non era un grande oratore—posso ancora vederlo con una matita in mano, capace di esprimere, con poche linee semplici ma essenziali, tutto ciò che avevamo bisogno di sapere e comprendere. Era un docente capace di trasmettere entusiasmo per la sua materia senza alcuna autoreferenzialità, perché era troppo riservato per parlare di sé, della sua famiglia, dei suoi progetti e successi, che al contrario suscitavano grande curiosità e interesse. Così scoprii che, con i suoi fratelli Livio e Achille, aveva creato oggetti che sono e rimangono pietre miliari nella storia del design. Questi pezzi iconici, vincitori ripetuti del Compasso d’Oro, il più prestigioso premio italiano per il design, consolidarono il rapporto tra designer e imprenditore, elevando oggetti apparentemente banali, ancora in uso e incredibilmente attuali, nonostante siano stati ‘ideati’ e realizzati per la prima volta oltre cinquant’anni fa.
Un vero interprete di quegli straordinari anni del dopoguerra, segnati da una cultura creativa così sincronizzata con le nuove tecnologie da riuscire a combinare magistralmente l’eleganza della forma con le esigenze funzionali della vita moderna.
Possiedo molti degli oggetti iconici di quell’epoca, che custodisco gelosamente, come le lampade: dall’Arco e Taccia del 1962 alla Splügen, appositamente progettata e realizzata per il bar Splügen Bräu in Corso Europa, un ‘luogo di culto’ per la mia generazione di studenti di architettura. Tutti oggetti che incarnano una costante ricerca dell’essenziale e una determinazione affinché il prodotto finito fosse alla portata di tutti.
In breve, un vero maestro che, forse con poche ma essenziali parole, riuscì a trasmettere tutto ciò che serviva per renderlo un punto di riferimento per generazioni di architetti e designer italiani, prestando il suo genio al processo di trasformazione degli oggetti quotidiani in opere d’arte non solo fino alla sua prematura scomparsa, avvenuta poco più di due anni dopo il nostro incontro, ma anche oltre, nel futuro.
Ferruccio Favaron
In autumn 1966, I was a young freshman in architecture attending the faculty for my first lesson in still-life drawing. Inside a large room, I found objects of various shapes and sizes arranged on the drawing tables: a sailboat, a bicycle, some lamps, a turntable and many others, all with very simple but attractive shapes.
The purpose of that first exercise, which lasted a day and a half, was to really observe those objects, so different from each other, by capturing and highlighting the features they had in common. Even extracting hidden elements made of innovative materials. Why those shapes? What makes them, and not others, so essential? Why those solutions, closely linked to specific functions?
At high school, I had grown accustomed to copying a few details of a church façade from some illustration, trying at best to identify, through its constituent elements, the period in which it was built. Going from a photograph to all those objects, so real, functional and everyday, touching them, analysing them, trying to bring out their ‘spirit’ and the common ‘quality’ they shared, was an experience that stayed with me throughout my student life and remains vivid to this day, after so many years of working in the field. In fact, I have been able to recognise that all the objects that we use in our daily lives derive from design and production processes that allow them to be reproduced, thereby making them available to everyone. This was no dry introduction to drawing techniques or the rules of descriptive geometry. Rather it was my first step on a journey of exploration through the wonderful universe of ‘design’, as it was known in Italy then, in which the star of Italian genius was rising. And the lecturer? None other than Pier Giacomo Castiglioni himself, one of the most appreciated interpreters of this discipline which was crossing national borders and beginning to garner well-deserved recognition at international level as well.
After that first experience, I never missing an opportunity to meet him, and I got to know him: very shy but at the same time endowed with great humanity. While I don’t recall a particular lesson from him—he was not a great speaker—I can still see him with a pencil in his hand, able to express, with few simple but essential lines, everything that we needed to know and understand. He was a teacher who could inspire enthusiasm for his subject with no self-reference, for he was too reserved to talk about himself, his family and his projects and achievements, which conversely aroused great curiosity and interest. And so I learned that, with his brothers Livio and Achille, he had created objects that were and are milestones in the history of design. These iconic pieces, repeat winners of Italy’s top design award the Compasso d’Oro, consolidated the designer-entrepreneur relationship, elevating apparently trivial objects, still in use and highly current, despite their having been ‘devised’ and first made over fifty years ago.
Ferruccio Favaron