I Castiglioni e la Milano degli anni ’50

The Castiglionis and the Milan of the 1950s

Vanni Pasca per Pier Giacomo Castiglioni

Pier Giacomo Castiglioni è scomparso nel 1968 ma la sua figura e la sua attività non sono mai state dimenticate. Prima col fratello Livio e con Luigi Caccia Dominioni (ben nota è la Phonola del 1938 in cui si esprime il tentativo di mettere a fuoco la tipologia di un oggetto ancora alla ricerca di definizione); poi con lo studio formato col fratello Achille (Livio si stacca nel 1953), Pier Giacomo ha lasciato un segno categorico nella storia del design italiano.
È però importante aprire una nuova fase dell’analisi del lavoro di Pier Giacomo e quindi anche dello studio Castiglioni per due ragioni precise. Da un lato approfondire il ruolo di Pier Giacomo, sviluppando tra l’altro ricerche d’archivio e testimonianze, non può che migliorare la nostra comprensione dell’articolazione dei ruoli e delle intenzioni progettuali di un progettista e di uno studio che forse è stato il più importante nella storia del design italiano. Ma c’è dell’altro. È ancora ampiamente presente nella cultura del design, se pur in termini più articolati di un tempo, una riflessione sul design italiano che si esprime con un assioma categorico, formulato tra anni ’60 e ’70 del ‘900, principalmente dalla cultura radical. Esso definisce gli anni ’50 come segnati da un’adesione ampia e univoca al razionalismo, al “modernismo” inteso come rigore geometrico e astrazione formale, al funzionalismo, al fordismo. Il riferimento è in larga misura al Bauhaus inteso come monolite ideologico funzional-fordista, interpretazione quanto meno inattendibile solo a tener conto della fase espressionista dominata da Itten e della successiva influenza esercitata dal De Stijl e dal costruttivismo russo. L’unico riferimento possibile in questo senso va ai due anni di direzione di Hannes Meyer tra il ’28 e il ’30, quando si precisa un’adesione al funzionalismo e al fordismo, che però ben pochi seguaci ha avuto in Italia. Rileggere la figura di Pier Giacomo, e l’attività dello studio Castiglioni, all’interno del panorama della cultura italiana del progetto, non può che contribuire a superare questi equivoci ormai datati e a precisare la lettura di quel periodo.

  • Ma limitiamoci ad osservare lo studio Castiglioni nella Milano anni ’50, quella Milano di cui Gio Ponti progetta il primo grattacielo, il Pirelli, traduzione italiana della cultura razionalista, mentre d’altro canto i BBPR progettano la torre Velasca, rilettura neogotica della tradizione milanese: due segni incisivi e contrari che delineano la nuova città in sviluppo. Sono quegli anni cinquanta del secolo scorso in cui il dibattito sul progetto in Italia è molto vivo e aperto, molto più complesso e articolato di quanto le successive polemiche radical lascino comprendere. Limitiamoci solo ad alcuni esempi. Alberto Rosselli fonda nel 1954 Stile Industria mentre Rogers a metà anni ’50 pubblica articoli sulla sua Casabella dedicati al grande architetto Henry van de Velde (n. 217, 1957 e un’intera monografica del 1960). Luigi Caccia Dominioni con Ignazio Gardella e Corrado Corradi Dell’Acqua fondano Azucena (1947) con l’obiettivo di mettere in relazione il progetto moderno d’arredo (rileggendo con eleganza tipologie storiche o riferendosi alla cultura del design nordico) con gli artigiani milanesi; intanto la X Triennale del 1954 ha un programma centrato su “prefabbricazione”, “unificazione”, “industrial design” e la sezione curata da Caccia, Magistretti, Gardella e altri è intitolata “Mostra dello standard”. Si tratta quindi di un momento in cui il dibattito è assai vivace: la cultura del progetto in Italia dimostra una forte capacità di rielaborazione originale di mezzo secolo di formulazioni teoriche e sperimentazioni concrete sviluppatesi nel mondo. Ed è ben noto come tutto ciò comporti anche uno scontro internazionale. In particolare all’XI Congresso del CIAM del 1959 ad Otterloo, i progetti presentati dagli architetti italiani provocano grande dibattito e molta opposizione. Nell’aprile dello stesso anno Reyner Banham attacca con violenza l’architettura italiana con un articolo dal titolo: “Neoliberty: The Italian Retreat from Modern Architecture”. Risponde Rogers con un tagliente articolo dal titolo: “L’evoluzione dell’architettura. Risposta al custode dei frigidaire”. Verso la fine degli anni ’50 si apre a Milano l’Osservatorio delle arti industriali, che nel marzo del 1960 organizza una mostra dal titolo Nuovi disegni per il mobile italiano, considerata inizio di quella corrente, di breve durata, definita neoliberty. Tema di fondo è la volontà di superamento di una progettazione rivolta a definire oggetti calibrati sulla produzione industriale di serie, cercando di recuperare il loro rapporto con gli spazi di vita e in questo senso anche con la storia dell’abitare. Nello stesso tempo Zanuso, Magistretti, lo stesso studio Castiglioni avviano con le nascenti industrie “di design” quelle esperienze di progettazione di mobili, lampade e oggetti tecnici che definiranno tra anni ’60 e ’70 lo sviluppo pieno del design italiano.
  • Ma limitiamoci ad osservare lo studio Castiglioni nella Milano anni ’50, quella Milano di cui Gio Ponti progetta il primo grattacielo, il Pirelli, traduzione italiana della cultura razionalista, mentre d’altro canto i BBPR progettano la torre Velasca, rilettura neogotica della tradizione milanese: due segni incisivi e contrari che delineano la nuova città in sviluppo. Sono quegli anni cinquanta del secolo scorso in cui il dibattito sul progetto in Italia è molto vivo e aperto, molto più complesso e articolato di quanto le successive polemiche radical lascino comprendere. Limitiamoci solo ad alcuni esempi. Alberto Rosselli fonda nel 1954 Stile Industria mentre Rogers a metà anni ’50 pubblica articoli sulla sua Casabella dedicati al grande architetto Henry van de Velde (n. 217, 1957 e un’intera monografica del 1960). Luigi Caccia Dominioni con Ignazio Gardella e Corrado Corradi Dell’Acqua fondano Azucena (1947) con l’obiettivo di mettere in relazione il progetto moderno d’arredo (rileggendo con eleganza tipologie storiche o riferendosi alla cultura del design nordico) con gli artigiani milanesi; intanto la X Triennale del 1954 ha un programma centrato su “prefabbricazione”, “unificazione”, “industrial design” e la sezione curata da Caccia, Magistretti, Gardella e altri è intitolata “Mostra dello standard”. Si tratta quindi di un momento in cui il dibattito è assai vivace: la cultura del progetto in Italia dimostra una forte capacità di rielaborazione originale di mezzo secolo di formulazioni teoriche e sperimentazioni concrete sviluppatesi nel mondo. Ed è ben noto come tutto ciò comporti anche uno scontro internazionale. In particolare all’XI Congresso del CIAM del 1959 ad Otterloo, i progetti presentati dagli architetti italiani provocano grande dibattito e molta opposizione. Nell’aprile dello stesso anno Reyner Banham attacca con violenza l’architettura italiana con un articolo dal titolo: “Neoliberty: The Italian Retreat from Modern Architecture”. Risponde Rogers con un tagliente articolo dal titolo: “L’evoluzione dell’architettura. Risposta al custode dei frigidaire”. Verso la fine degli anni ’50 si apre a Milano l’Osservatorio delle arti industriali, che nel marzo del 1960 organizza una mostra dal titolo Nuovi disegni per il mobile italiano, considerata inizio di quella corrente, di breve durata, definita neoliberty. Tema di fondo è la volontà di superamento di una progettazione rivolta a definire oggetti calibrati sulla produzione industriale di serie, cercando di recuperare il loro rapporto con gli spazi di vita e in questo senso anche con la storia dell’abitare. Nello stesso tempo Zanuso, Magistretti, lo stesso studio Castiglioni avviano con le nascenti industrie “di design” quelle esperienze di progettazione di mobili, lampade e oggetti tecnici che definiranno tra anni ’60 e ’70 lo sviluppo pieno del design italiano.

Rileggere la figura di Pier Giacomo Castiglioni può servire a precisare il discorso non solo su un personaggio così significativo del design italiano e sullo studio Castiglioni stesso, ma a permettere di approfondire un’intera fase in cui il design italiano costruisce una sua identità, complessa e articolata, quell’identità che troverà attenzione internazionale nel 1972 con la mostra “Italy: the New Domestic Landscape” al Moma di New York. 

Vanni Pasca

Pier Giacomo Castiglioni passed away in 1968, but the man and his contributions have never been forgotten. First with his brother Livio and Luigi Caccia Dominioni (the 1938 Phonola – which expressed the attempt to identify the typology of an object still in search of definition – is well known); then with the studio set up with his brother Achille (Livio left in 1953), Pier Giacomo left an indelible mark on the history of Italian design.

It is important, however, to open a new phase in the analysis of Pier Giacomo’s work, and therefore also of the Castiglioni studio, for two specific reasons. On the one hand, delving into Pier Giacomo’s role through, among other things, archive research and the collection of memories can only enhance our understanding of the range of roles and intentions of a designer and a studio that may have been the most important in the history of Italian design.

But there is more. A reflection on Italian design – still widely shared in design culture, albeit in more detailed terms than in the past – is expressed through a categorical axiom formulated between the 1960s and 1970s, mainly by the radical culture. It defines the 1950s as a period marked by a broad and unequivocal adherence to rationalism, to “modernism” understood as geometric rigour and formal abstraction, to functionalism, and to Fordism. The reference is to a large extent to the Bauhaus understood as a functional-Fordist ideological monolith, a questionable interpretation considering the expressionist phase dominated by ltten and the subsequent influence exerted by De Stijl and Russian constructivism. The only possible reference in this sense are to the two years of Hannes Meyer’s directorship from 1928 to 1930, when an adherence to functionalism and Fordism emerged, but with very few followers in Italy.

Revisiting the figure of Pier Giacomo, and the activity of the Castiglioni studio, within the panorama of Italian design culture, can only help to overcome these outdated misunderstandings and clarify the reading of that period.

But let’s limit ourselves to observing the Castiglioni studio in 1950s Milan, the Milan where Gio Ponti designed the first skyscraper, the Pirelli building, an Italian translation of rationalist culture, while on the other hand the BBPR partnership designed the Velasca tower, a neo-Gothic reinterpretation of Milanese tradition: two incisive and contrary signs that delineated the new developing city. These were the 1950s, when the debate on design in Italy was very lively and open, much more complex and in-depth than what the subsequent radical controversies would lead us to believe. Let’s just take a few examples. Alberto Rosselli founded Stile Industria in 1954, while Rogers, in the mid-1950s, published articles in his magazine Casabella dedicated to the great Liberty architect Henri van de Velde (no. 217, 1957 and 1960 monographic issue). Luigi Caccia Dominioni, together with Ignazio Gardella and Corrado Corradi Dell’Acqua, founded Azucena in 1947 with the aim of connecting modern furniture design (elegantly reinterpreting historical typologies or referring to Nordic design culture) with Milanese artisans. Meanwhile, the 10th Triennale of 1954 had a programme focused on “prefabrication,” “unification,” “industrial design” and the section curated by Caccia, Magistretti, Gardella and others was titled “Standard exhibition”. This, then, was a time of very lively debate: the culture of design in Italy demonstrated a great ability to creatively rework half a century of theoretical formulations and concrete experiments developed around the world. And it is well known how all this resulted also in an international confrontation. In particular, at the 11th CIAM Congress held in in 1959 in Otterlo, the projects presented by Italian architects sparked a lively debate and much opposition. In April of the same year, Reyner Banham vehemently criticized Italian architecture in an article titled: “Neoliberty: The ltalian Retreat from Modern Architecture”. In response, Rogers penned a scathing article titled: “The Evolution of Architecture. Response to the Guardian of Frigidaires.” Towards the end of the 1950s, the Observatory of Industrial Arts opened in Milan, and in March 1960 it organized an exhibition titled New Designs for Italian Furniture, which is considered the beginning of that short-lived movement defined as neoliberty. It was underpinned by the desire to go beyond design focused on objects conceived for mass industrial production, seeking to recover their relationship with living spaces and, in this sense, also with the history of dwelling. At the same time, Zanuso, Magistretti, and the Castiglioni studio itself, working in collaboration with emerging “design” companies, started creating the furniture, lamps, and technical objects that would shape the full development of Italian design in the 1960s and 1970s.

It was a cultural climate characterized by lively debate and highly diverse experiences. Let’s just take one emblematic episode of great design value. It’s the project presented by the Castiglioni studio for the Villa Olmo competition (Como 1957), in which several designers were called upon to design a room of the house. Looking at it, we realize we are observing an extraordinarily modern idea of living and a kind of incunabulum of Italian design. An incredible number of design ideas are concentrated in this living room/studio, so much so that it’s only possible to hint at a few.
First of all, it should be noted how it goes beyond any idea of revisitation of the traditional Italian home, rejecting any stylistic coordination of furnishings. It is a precise proposal for a ‘modern’ house, where ‘modernity’ is neither an oppressive ‘total work of art’ nor a forcedly unified stylistic exercise. A few years later, in 1966, De Pas, D’Urbino and Lomazzi would present an Interior Design Manifesto at the Cantù Furniture Selettiva competition, stating that schematizing spaces encouraged a static attitude, whereas they intended to recover “a positive connection between man and objects, with which he can compose, freely and responsibly, the most suitable spaces for his own self-realization.” The ‘modern’ house proposed by the Castiglioni brothers is a place where one can live with comfortable ease and serene simplicity. Including the idea of a wall-mounted cast iron basin with tap, typical of the Milanese courtyards that were being transformed at the time (and here one detects a subdued sense of nostalgia for a disappearing “Milan-ness”), but also suggesting that there is no reason for water to be relegated to the kitchen. And there is a chair that looks like a pallelepiped, but whose central part gives way on sitting down. Instead of using foam rubber – a new material at the time – as a mere replacement for traditional fillings, its characteristics were exploited with intelligence and a sense of humour, thus anticipating by a good decade the games of pop designers with polyurethane. There were the famous stools made through a bricolage of parts derived from other objects, such as Mezzadro and Sella: a demonstration of how it is possible to invent shapes by assembling parts from an already existing technical universe, without technological ostentation.

There was also the new iconic object, the television set, but already fully understood in its contradictory nature: it was attached to the ceiling with a cable equipped with a counterweight so that, when you’d had enough, a small tap was all it took make it disappear upwards. It is extraordinary how just three examples can reveal a design idea that is so technically aware and at the same time so unconventionally independent of any mythologization of technology. And then there were minimalist design objects, such as the splendid ‘Luminator’ lamp, casually mixed with anonymous objects, such as a deckchair, or with homages to the historical premises of design, the Thonet chair. One could go on to mention the stencil decorations of an abstractionist painter like Giuseppe Ajmone, proposing a modern decoration that was not tied to traditional stylistic elements.

Revisiting the figure of Pier Giacomo Castiglioni can help not only to clarify the discussion about such a significant figure in Italian design and the Castiglioni studio itself, but also to explore in depth an entire phase in which Italian design built a complex and diverse identity of its own, an identity that would attract international attention in 1972 with the exhibition “Italy: the New Domestic Landscape” at the MoMA in New York.

 

Vanni Pasca