Dino Gavina and Pier Giacomo Castiglioni
Two complementary backgrounds
Una premessa necessaria per comprendere il rapporto che legava Dino Gavina e Pier Giacomo Castiglioni, riguarda la loro formazione, la loro origine culturale ed ambientale.
Pier Giacomo nasce due anni dopo li fratello maggiore Livio e cinque anni prima di Achille, li fratello minore. Il padre, Giannino, è stato uno dei più importanti scultori italiani, impostato classicamente dalla prestigiosa Accademia di Brera. Per il nostro argomento è importante sottolineare l’amore per il progetto e l’architettura che il padre di Pier Giacomo ha sempre manifestato e trasmesso ai figli. Sono magnifiche opere di architettura i sacrari del Grappa e di Redipuglia realizzati con Giovanni Greppi. In famiglia Pier Giacomo aveva respirato quest’aria e aveva imparato ad apprezzare il valore della cultura materiale coltivata dal padre del quale era, intellettualmente, forse il più diretto erede, dedicandosi egli stesso alla modellazione e al disegno. L’influenza del padre è importante e ne troviamo traccia in tutte le opere di Pier Giacomo. Un chiaro esempio è l’allestimento dello spazio assegnato ai Castiglioni alla mostra Colori e Forme nella casa d’oggi di Villa Olmo a Como nel 1957. È un progetto d’affezione, incomprensibile senza la premessa del rapporto col padre. In una piccola stanza ricostruita sono presenti molti oggetti poveri, di design anonimo, frutto di una sapiente cultura materiale, oggetti tratti dal proprio vissuto e riconosciuti come geniali. A sottolineare questa eredità campeggia al centro della stanza un dipinto eseguito da Giannino Castiglioni. La mostra è un manifesto programmatico del metodo che sarà tipico, prima di Pier Giacomo e, in seguito, anche di Achille. Quando Pier Giacomo entra a far parte dello studio Castiglioni porta con sé la sua abilità manuale ed artistica: fu lui a realizzare i modelli in gesso della famosa radio Phonola 547 e delle posate per li concorso Reed &Barton. Sono progetti del 1940 a firma di Caccia Dominioni, Livio e Pier Giacomo Castiglioni. Questi tre ragazzi di talento furono pionieri, probabilmente inconsapevoli, del design italiano, tracciando una strada che verrà seguita da molti. Per le restrizioni imposte nel periodo pre-bellico (l’uso del ferro era pressoché bandito), non potevano dedicarsi all’architettura e cosi la passione di Livio per le radio, la cultura materiale e l’abilità scultorea di Pier Giacomo, unite all’eleganza progettuale di Caccia Dominioni, generarono quell’amore per la semplicità, per la pulizia formale e per l’oggetto anonimo che caratterizzeranno molta parte del modo milanese di intendere li design. Caccia Dominioni, con un’obbligata vena autarchica, ideava lampade con ciottoli di fiume, canne da pesca, cavalletti da fotografo e diffusori di illuminazione recuperati dalle macchine da cucire Singer. Parlando di quegli anni, l’architetto oggi centenario, ama ancora ricordare che la famosa lampada Arco deriva da una sua installazione luminosa per il primo studio in Corso di Porta Nuova 52: una lunga canna da pesca che, formando un ampio arco, sorreggeva una lampada indirizzando cosi la luce al centro del tavolo. Le vicende della guerra divisero i ragazzi. Luigi si mette in proprio, anche se negli anni, avrà altre occasioni di collaborare con i Castiglioni.
La vicenda formativa di Dino Gavina è di tutt’altro genere. Nasce a San Giovanni ni Persiceto, in provincia di Bologna, nel 1922. Le sue sono origini modeste, il padre Celso è un muratore e la madre Emma è una cuoca. I suoi studi si fermano probabilmente alla terza classe di avviamento dell’Aldini Valeriani, un istituto tecnico che a Bologna, dalla fine dell’Ottocento, prepara e forma nel campo della meccanica.
Fin da ragazzo è animato da una vivacissima curiosità e ambizione. Subito dopo la guerra, commercia tessuti acquistandoli a Prato e rivendendoli a Bologna, quindi si ritrova, grazie ad un amico con cui corre in bicicletta, socio di un piccolo laboratorio di tappezzeria. L’amico tappezziere dopo pochi mesi lascia improvvisamente il lavoro e Gavina diventa proprietario unico di un laboratorio a cui non manca il lavoro. Grazie anche alla vicinanza a un grande insediamento militare dove si recuperano gli automezzi, allarga il campo alla realizzazione delle capote delle jeep. In seguito Gavina consolida il proprio successo imprenditoriale ed economico lavorando per molti anni per le Ferrovie dello Stato, per le quali realizza gli interni delle carrozze dei treni. Contemporaneamente collabora con il cugino Athos, titolare di una piccola falegnameria, iniziando a realizzare qualche pezzo disegnato dai giovani architetti bolognesi.
La mancanza di una formazione culturale scolastica fu un cruccio per Gavina, e allo stesso tempo fu la molla che lo spinse a frequentare, per quanto possibile, il mondo degli artisti. Poeti, pittori, letterati, uomini e donne di cultura. Questa strada, percorsa con ostinazione tutta la vita, lo portò all’amicizia di straordinari personaggi come Lucio Fontana, Man Ray, Marcel Duchamp, Carlo Scarpa, Marcel Breuer, solo per citarne alcuni. Fu proprio per merito di Lucio Fontana che avvenne l’incontro tra Pier Giacomo Castiglioni e Dino Gavina, precisamente a Milano, nel 1954 in occasione dell’allestimento della X Triennale. Fontana aveva consigliato a Gavina, di seguire le sue ambizioni culturali elevando il livello progettuale, cosa che poteva fare avvalendosi di giovani di talento. Quindi lo aveva condotto alla Triennale presentandogli Carlo Mollino, Carlo De Carli, Pier Giacomo Castiglioni.
Dopo alcuni tentativi non riusciti con Molino e De Carli, Gavina trovò in Pier Giacomo il progettista perfetto. Più che un rapporto tra produttore e progettista fu per Gavina come l’abbacinazione di Saulo sulla via di Damasco. Gavina che all’epoca era praticamente digiuno riguardo al design sposò radicalmente l’impostazione progettuale di Castiglioni. Nella concezione di Pier Giacomo il design non doveva avere connotazioni stilistiche o essere riconoscibile, ma doveva trovare in sé stesso la sua perfezione, senza nulla che si potesse togliere o aggiungere all’oggetto. Questa idea avvicinava idealmente il progetto al design anonimo, cioè a quel design di autore ignoto, che per evoluzione o genialità, aveva ottenuto un successo d’uso universale, oltre all’estetica innegabile che ogni oggetto perfetto possiede. Il principio di Pier Giacomo era quello di togliere. Togliere all’oggetto tutto ciò che non è indispensabile fino a raggiungere la purezza progettuale. Anche un oggetto apparentemente organico come la poltrona San Luca segue questo principio. È un progetto letteralmente scultoreo che Pier Giacomo aveva realizzato in gesso agendo per sottrazione, esattamente come fanno gli scultori. Nella sua mente la poltrona precorreva i tempi alla ricerca di tecnologie che, solo qualche anno dopo, troveranno nel poliuretano armato, usato per la prima volta da Afra e Tobia Scarpa per la C&B, il materiale adatto. Questa logica era ovviamente ideale per Gavina perché si sposava con la sua concezione di prodotto industriale, cioè di un prodotto facilmente riproducibile in serie con l’uso di stampi e macchine automatiche o comunque con una ridotta manodopera. Quest’idea sostenuta dall’eco del mito fordista americano, fu per Gavina una condizione ineludibile per la produzione di ogni pezzo. Una posizione forse un po’ calvinista che non si stancò mai di ribadire e che lo portò a rifiutare la produzione di mobili di sicuro successo ma disegnati secondo un criterio artigianale.
Con Pier Giacomo , Gavina aveva delle lunghe conversazioni nelle quali analizzavano i pezzi che sarebbero rimasti nel futuro e fra questi vi erano quelli di maestri come Hoffman, Mackintosh, Gaudì e Breuer. È molto probabile che la decisione di Gavina di incontrare Breuer qualche anno più tardi, dirivi da questi colloqui. Da un punto di vista commerciale i prodotti realizzati dalla ditta Gavina su progetto dei Castiglioni furono pochi, non di grandissimo valore progettuale (ad eccezione della Lierna e della San Luca) e di modesto significato economico).
Un impulso ben maggiore si ebbe con Flos, un’azienda di illuminotecnica fondata per sopperire alla mancanza di lampade moderne da abbinare ai mobili. Gavina coinvolse sin dall’inizio Cesare Cassina e Maria Simoncini inserendoli nel consiglio di amministrazione. Come progettisti chiamò Pier Giacomo, Achille e il giovane Tobia Scarpa. Chi ha conosciuto Gavina ha certamente compreso che il rapporto con Pier Giacomo fu fondamentale per entrambi, sia sul piano umano che su quello professionale. La scintilla che ci accese portò ad un periodo fertile, denso di idee e innovazioni che proseguirono anche dopo la separazione e che restano un capitolo importante della storia del design.
Dalla morte di Pier Giacomo, per tutta la sua vita, Gavina non smise mai di ricordarne la figura e l’opera dedicandogli scritti, mostre ed eventi.
A necessary premise for understanding the relationship between Dino Gavina and Pier Giacomo Castiglioni is their background, their original culture and environment.
Pier Giacomo was born two years after his elder brother Livio and five years before Achille, the younger brother. His father, Giannino, was one of Italy’s most important sculptors, classically trained at the prestigious Brera Academy. It is important for our argument to highlight the love for design and architecture that Pier Giacomo’s father always showed and passed on to his children. The Grappa and Redipuglia war memorials, created together with Giovanni Greppi, are magnificent works of architecture. Pier Giacomo breathed in this family atmosphere and learned to appreciate the value of the material culture cultivated by his father, to whom he was perhaps the most direct intellectual heir, as he dedicated himself to modelling and drawing. His father’s influence was important and can be traced in all of Pier Giacomo’s works. A clear example of it is the interior design of the space assigned to the Castiglioni brothers at the exhibition “Colours and Shapes in Today’s Home” at Villa Olmo, Como, in 1957. It is a project of love, which cannot be understood outside the context of their relationship with their father. A small reconstructed room hosted many humble objects of anonymous design, products of an expert material culture, drawn from their own experience and recognized as ingenious. A painting by Giannino Castiglioni, prominently displayed in the centre of the room, emphasized this legacy. The exhibition was a programmatic manifesto of the method that would be typical first of Pier Giacomo and later of Achille. When Pier Giacomo joined the Castiglioni studio, he brought with him his manual and artistic skills. He was the one who made the plaster models of the famous Phonola 547 radio and for the cutlery for the Reed & Barton competition in 1940, designed in 1940 by Caccia Dominioni, Livio, and Pier Giacomo Castiglioni. These three talented young men were, probably unknowingly, pioneers of Italian design, who paved the way for many others. Due to the restrictions imposed in the pre-war period (the use of iron was virtually banned), they could not dedicate themselves to architecture. As a result, Livio’s passion for radios and material culture and Pier Giacomo’s sculptural skills, combined with Caccia Dominioni’s elegant designs, generated that love for simplicity, formal cleanliness and anonymous objects that characterized much of the Milanese approach to design. Caccia Dominioni, with his mandatory autarchic streak, designed lamps using river pebbles, fishing rods, photographer’s tripods and lighting diffusers recovered from Singer sewing machines. Speaking of those years, the now centenarian architect loves to recall that the famous Arco lamp originated from his lighting installation for the first studio in Corso di Porta Nuova: a long fishing rod supported a lamp, forming a wide arc and thus directing the light to the centre of the table. The events of the war separated the young men. Luigi set out on his own, although over the years he would have other opportunities to collaborate with the Castiglioni brothers.
Dino Gavina’s educational background was entirely different. He was born in 1922 in San Giovanni in Persiceto, in the province of Bologna. His origins were modest; his father Celso was a bricklayer and his mother Emma was a cook. His formal studies probably stopped at the third year of the Aldini Valeriani technical institute in Bologna, a school that has been training students in the field of mechanics since the late 19th century.
From a young age he was driven by a lively curiosity and ambition. Immediately after the war, he set up a business buying fabrics in Prato and selling them in Bologna. Later, with the help of a friend with whom he cycled, he became a partner in a small upholstery workshop. When, after a few months, his upholsterer friend suddenly left the business, Gavina became the sole owner of a workshop that was never short of work. Thanks to the proximity to a large military area where they restored vehicles, he expanded into the production of jeep hoods. Gavina later consolidated his entrepreneurial and financial success by making train interiors for the Italian State Railways. At the same time, working in collaboration with his cousin Athos, the owner of a small carpentry workshop, he started to produce pieces designed by young architects from Bologna.
His lack of formal education was both a source of distress for Gavina and, at the same time, the driving force that pushed him to engage as much as possible with the world of artists – poets, painters, writers, men, and women of culture. This path, which he followed with determination throughout his life, afforded him the opportunity to become friends with extraordinary figures such as Lucio Fontana, Man Ray, Marcel Duchamp, Carlo Scarpa, and Marcel Breuer, just to name a few. It was thanks to Lucio Fontana that the meeting between Pier Giacomo Castiglioni and Dino Gavina took place in 1954 in Milan, during the 10th Triennale. Fontana had advised Gavina to follow his cultural ambition by raising the level of design, which he could achieve by working with talented young people. Fontana had then taken him to the Triennale, where he introduced him to Carlo Mollino, Carlo De Carli and Pier Giacomo Castiglioni.
After a few unsuccessful attempts with Mollino and De Carli, Gavina found the perfect designer in Pier Giacomo. Rather than just a relationship between a manufacturer and a designer, for Gavina this experience was akin to Saul being dazzled by the light on the road to Damascus. Gavina, who at the time had next to no knowledge of design, wholeheartedly embraced Castiglioni’s design approach. In Pier Giacomo’s conception, design should not have stylistic connotations or be recognizable. Instead, it should find its perfection in itself, with nothing taken away or added to the object. Ideally, this idea aligned the project with anonymous design, that is, design by an unknown author which, through evolution or ingenuity, had achieved universal success, in addition to the undeniable aesthetics that every perfect object possesses. Pier Giacomo’s principle was that of removing, by which he meant removing from the object everything that was not essential until design purity was achieved. Even an apparently organic object like the Sanluca armchair followed this principle. It is a literally sculptural object that Pier Giacomo had first created in plaster, acting through subtraction, exactly as sculptors do. In his mind, the armchair was ahead of its time in the search for technologies that only a few years later would find the right material in reinforced polyurethane, first used by Afra and Tobia Scarpa for C&B. This logic was obviously ideal for Gavina, as it matched his conception of an industrial product, namely, one that easily lent itself to serial production with the use of moulds and automatic machines, or at least with reduced manual labour.
This idea, supported by the echo of the American Fordist myth, was Gavina’s indispensable condition for the production of every piece. He never tired of stating this perhaps somewhat Calvinistic position, which led him to reject the production of furniture that, though sure to be successful, was designed according to artisanal criteria.
Gavina and Pier Giacomo had long conversations during which they analyzed the pieces they believed would endure in the future, including those by masters like Hoffman, Mackintosh, Gaudì and Breuer. It is highly likely that Gavina’s decision to meet Breuer a few years later came out of these discussions.
From a commercial point of view, the products manufactured by Gavina to the designs of the Castiglioni brothers were few, not of tremendous design value (except for the Lierna chair and the Sanluca armchair) and of modest economic significance.
A much greater impetus came with Flos, a lighting company founded to address the lack of modern lamps to coordinate with furniture. From the beginning, Gavina involved Cesare Cassina and Maria Simoncini by including them in the board of directors. As designers he called Pier Giacomo, Achille and the young Tobia Scarpa. Those who knew Gavina certainly understood that the relationship with Pier Giacomo was fundamental to both of them, on a personal and professional level. This ignited a spark that led to a fertile period, rich in ideas and innovations which continued even after their ways parted and which remain an important chapter in the history of design.
After Pier Giacomo’s death, Gavina kept alive the memory of the man and his works throughout his life, with writings, exhibitions and events dedicated to him.
Valerio Sacchetti
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